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14 Crosa: La valle dei massi

Per tre mesi all'anno il sole non tocca Foroglio, ma quando vi arriva è una festa anche per la famosa cascata che dovrebbe essere ammirata, da chi fa questa escursione, quando i primi raggi, irrorati dalla sua schiuma, si mutano in un balenìo d'arcobaleno e sembra, allora, che la cascata fermi la sua caduta per non infrangere la magia di un momento che la rende fiabesca.

Si giunge poi, lungo scalini incastrati nei precipizi, alla cappella del San Salvatore, con il portico che serve da rifugio quando il maltempo mette paura anche al ponte di Pontito che s'incontra più in alto; fatto di pietre stagliate, che si spingono, metà da una parte e metà dall'altra, senza mai soverchiarsi e restano così solidamente immobili nell'arco del loro rustico sforzo, il ponte supera il torrente che, prima di diventar cascata, si fa strada tra le rocce a forza di gorghi, lasciandosi dietro una trasparenza che è, tanto resta limpida, come unalente che interroga il sasso.

In Val Calneggia, del resto, il sasso è il protagonista, insostituibile, di una storia che ricorda la fatica dell'uomo e conferma il suo talento nello sfruttare, in questa fatica, la natura, che qui si impegna per risultare ostile e fa scomparire, quando magari se ne sente più forte la necessità, l'acqua di un torrente ormai diventato, allargandosi, fiume; e se ne segue quindi il corso sotterraneo lungo un sentiero che ha, come certi grotti, i suoi sfiatatoi che emanano, quando fa freddo, un fiato tiepido che pare un annuncio primaverile anche quando il ghiaccio copre le lastre su cui i pastori e i carbonai posavano, una volta, per riprender fiato, la gerla.

Si passa, in seguito, tra i segni della violenza di questo fiume balzano, del quale si sente solo il borbottìo, e si cerca di figurarselo nella sua rabbia rovinosa, ma non è facile ricostruirne le buzze anche perché, quando lo si ritrova allo scoperto, esso si mostra pittorescamente mite, quasi intimidito dagli enormi blocchi caduti, come meteoriti, tra le cascine di Gera.

È un posto, Gera, che per le sue caratteristiche merita una sosta di là dal fiume e tra le abitazioni che appaiono, nei confronti di quei giganteschi massi, ancora più piccole; non ne sono però spaventate; anzi, si capisce subito che sono con essi in confidenza e addirittura li impiegano dopo averli scalpellati per deviar, con una scanalatura, i rivoli piovosi; li usano come casa, come deposito, come stalla, come cantina; quando si scende in quella che è la"crasta" più fresca di tutta la Bavona, è come penetrare in un crepaccio che si fa sempre più scuro, in una fenditura che potrebbe chiudersi per sempre; ma ancora più impressionante è la "splüia bèla" della famiglia Dadò con la casa e la stalla poste sotto una tettoia di sasso di cui non si può calcolare il peso; per vederla bisogna salire, da Pontito, sulla sinistra della Calneggia, attraversando, più a monte, il fiume.

Ma vale la pena di fare questa deviazione anche se dopo si dovrà allungare il passo perché i laghetti della Crosa sono ancora lontani e l'arrampicata è dura.

Si monta pensando agli alpigiani che un tempo facevano questo percorso una quantità di volte e chissà con quali carichi sulle spalle, su su verso Motto e poi ancora più in alto, seguendo e usando le tacche incise, a centinaia, da Eugenio Zanini, che martellava le rocce come se volesse scrivervi il numero di tutti i sacrifici.

L'acqua del primo Crosa che s'incontra, quello che è chiamato piccolo anche se non lo è, fa un salto oscuro prima di sgorgare, trasformata in sorgente, cinquecento metri più sotto e questi cinquecento metri bisogna sudarli prima di giungere al laghetto che ha rive che cadono a picco in un azzurro stranamente marino (si scorge, sott'acqua, un disegno di scalini vecchi come il ghiaccio che li ha scavati); la montagna, attorno, cerca di annullare, con la sua asprezza, questa nota quasi mediterranea, ma, così facendo, la rende ancora più vistosa e sorprendente.

Forse è per questo che l'altro vicino laghetto, quello grande, ha contorni meno aspri e tali, quindi, da non causare eccessivi contrasti con un contenuto che risulta meno spettacolare, ma non per questo meno pittorico: ha più variazioni e più sfumature e si deduce, pertanto, che l'acqua che esso fornisce all'altro laghetto è solo quella che, troppo verniciata, non si addice ai suoi gusti. Ma sia l'una, sia l'altra acqua sono ottimamente adatte alla pesca e il rifugio, costruito a tale scopo, sembra una sentinella incaricata di contare i guizzi, pesare le ombre, scrutare le abitudini; la pesca ha, qui, un significato valorizzato dal silenzio che avvolge la solitudine di chi non invidia certamente coloro che, a Foroglio, fotografano l'acqua che vien giù dai Crosa e fu cantata, come cascata, dall'avvocato e poeta locarnese Silvio Fiori, che la definì "una bella forte e innamorata", "infaticabile sempre al suo lavoro" e "intenta sempre al canto suo sonoro". Punto di partenza Foroglio, in Valle Bavona.

Itinerario Foroglio (697 m) - Puntid (890 m) - Gerra (1045 m) - Crosa (1508 m) - Motto (2000 m) - Laghetti della Crosa (2116 e 2153 m). Dislivello Durata 1456 m 5 ore fino ai laghetti Equipaggiamento Difficoltà particolari Da montagna Nessuna Carte 1:25'000 CNS 1271 Basodino 1:50'000 Carta Escursionistica Valle Maggia Segnaletica Bianca-rossa Ristorante A Foroglio vi è il ristorante La Froda, aperto da aprile a ottobre.


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