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30 Trescolmen: Invito alle leggende

Subito dopo l'inizio dell'escursione, l'acqua della Calancasca, sotto il ponte di Corneira, rallenta il suo fluire e si mette, creando una limpida pozza, in mostra: quasi volesse ricordare che l'acqua, in questa gita, vuole avere una parte non offuscata dal numero dei larici o dalla vastità dei pascoli.

Una parte che il laghetto di Trescolmen interpreterà, alla fine, da protagonista dopo aver lasciato al torrente Campalesc, lungo il cammino, un ruolo spesso affidato solo alla voce che, nascosta, rende più profonda la valle e più distante il suo opposto versante.

La voce del Campalesc accompagna, a destra, la passeggiata, che a un dato punto ne attraversa lo scorrere e lo lascia, sempre salendo, a sinistra: come se intendesse, allontanandosi, prepararsi, senza interferenze, a un incontro che merita tutta l'attenzione della meraviglia: è l'incontro con l'anfiteatro dell'Alpe Trescolmen.

C'è qualcosa di magico in questa apparizione che sembra stata appena creata dalla luce usando l'erba, le rocce e il cielo: ci si sente, davanti a tale spettacolo, privilegiati e liberi, appagati e orgogliosi di far parte di uno scenario che ha, freschi, i colori scelti dalla sua stupenda ampiezza irraggiungibile.

In questa ampiezza, la cascina dell'alpe si fa ancora più piccola e la si immagina abitata da primordiali pastori spaventati da una dimensione solcata da lampi diurni e da racconti serali.

Anche al laghetto di Trescolmen la vastità di ciò che lo circonda fa paura: ecco perché è appartato, quasi nascosto sotto i dirupi.

Lo fa, tuttavia, anche per essere gustato in tutta la sua rara bellezza, che abbisogna, per mostrarsi compiuta, di essere a lungo e tranquillamente ammirata: ammirata quando il primo sole sfiora la sua acqua (la tocca adagio: quasi temesse di trovarla troppo fredda) e, poi, penetrandovi, aggancia il verde e lo riporta a galla, o quando la prima ombra comincia a ingrandire la superficie, cui la notte toglierà i confini scorti solo dalla luna che vi immette i suoi riflessi.

Ma per poter cogliere tutto il fascino del Trescolmen occorre portarsi in alto e dall'alto guardarlo: se ne comprende, allora, la regalità maestosa che lo rende un laghetto diverso da tutti gli altri: un laghetto che ha i sassi come spettatori e i precipizi come guardie del corpo e tiene lontani gli alberi, obbligandoli a una discreta riverenza incuriosita.

Attorno alle sue rive, i lastroni attendono, invece, come lisce poltrone, chi vuole sentire il battito o il silenzio dell'acqua.

Ed è un'acqua, quella del Trescolmen, che ha una sua vita e un suo programma: c'è l'acqua che entra, frettolosa, nel laghetto (e forma, in precedenza, una cascatella scolorita, che ribolle scossa da un vento sommerso) e c'è l'acqua che, scura, scava la pietra ancora più nera; c'è l'acqua che vorrebbe diventare pascolo (e c'è il pascolo che vorrebbe farsi acqua) e striscia tra i sassi che tentano, senza convinzione, di fermarla, e c'è l'acqua che, sparita, produce un rumore sotterraneo di animale in fuga tra bassi rovi (più sotto, il rumore cessa di colpo e si pensa a un'acqua che muore).

Un ometto di sassi rammenta che in quella grandiosa conca, di cui il laghetto è un oblò di discontinua trasparenza, anche l'uomo è un piccolo uomo, cui le rocce vietano persino l'intero giro delle sponde (lo fanno, si deduce, per difendere la zona in cui l'acqua è più profonda e cela, come in ogni laghetto, i suoi misteri aperti solo alle tinte che, a ore fisse, scendono verso il basso e vi trascorrono turni sporcati dal fango; ma poi rimontano e anche il fango si tramuta in splendore).

Tutt'attorno, i crinali ritagliati come forbicicchi, le balze affittate alle valanghe, i dirupi scalati dai rododendri e le frane, arrestatesi prima dell'ultimo tuffo, creano un quadro in cui il laghetto spicca con l'evidenza di chi sa d'essere un seduttore e, come tale, ricorre anche agli effetti che ne accentuano la personalità.

Preferisce, comunque, il Trescolmen, alla leggiadrìa di un'acqua perennemente azzurrina, il gioco dei contrasti che lo spezzano a colpi di vento e poi, riunendo le scaglie, lo rendono dolce o rude, allegro o austero, imprevedibile, insomma, nella gamma di ciò che può dare o nascondere (può dare, per esempio, il prodigio dell'alba che lo ricopia con meticolosa e rosea lentezza oppure nascondere lo «show» della nebbia che danza sopra l'acqua e vi produce minuscole onde vivaci).

Potrebbe essere, nelle sue trame tonali e foniche, un laghetto da leggende: con signorotti che affogano dopo averlo sfidato e fanciulle che nascono dai suoi fulgori; streghe che adoperano la sua acqua come un filtro d'amore e paggi che cantano nella sua profondità; aquile tinte per sempre dal suo sfiorato viola pomeridiano e stambecchi che, dopo aver bevuto i suoi riflessi, si trasformano in liocorni.

Quando si lascia il laghetto di Trescolmen, si sa già che vi si ritornerà: in questa certezza sta la sua malìa che dà nuovi significati all'etimologia latina («transculmine») di un posto oltre il quale perdura la gioia, immensa, del ricordo.


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